DIVISIONE LIVORNO

DIVISIONE LIVORNO

DIVISIONE LIVORNO
Ma davvero lo sbarco degli Alleati in Sicilia nel luglio del 1943 avvenne in maniera indolore?????……..davvero americani e inglesi furono accolti come liberatori con l’esercito italiano (ancora schierato al fianco dei tedeschi) a stendere tappeti rossi sulle spiagge orientali dell’isola?

Ci furono battaglie, ci furono cannoneggiamenti, bombardamenti, scontri violentissimi. Migliaia di soldati morti. Ci fu la cruenta battaglia di Gela. E poi ci fu l’oblio. Con la fine delle ostilità venne introdotta una versione edulcorata dei fatti, come se l’occupazione della Sicilia fosse avvenuta in maniera pacifica, una sorta di marcia trionfale acclamata dalla popolazione.

Non fu proprio così. Uno squarcio di realtà oltre lo stereotipo accreditato in questi sessantasei anni viene offerto dal volume di Andrea Augello dal titolo Uccidi gli italiani che nel sommario annuncia: Gela 1943 – La battaglia dimenticata (Mursia editore, 200 pagine, 15 euro). Un libro scritto da uno studioso di destra che tuttavia viene riconosciuto nella sua obiettività da una postfazione di Anna Finocchiaro, siciliana, nota parlamentare del Partito Democratico.

Il titolo non è casuale. Scrive l’autore: «I britannici distribuirono alla truppa un libretto intitolato The Sicily Zone Handbook… l’indicazione era di diffidare della popolazione. Per aiutare i paracadutisti lanciati oltre le linee a riconoscere i loro commilitoni provenienti dalle spiagge, la parola d’ordine era “Uccidi gli italiani”. Il generale Patton era stato molto più colorito. Rivolgendosi ai suoi ufficiali alla vigilia dello sbarco aveva usato la famosa formula: “Kill, kill and kill some… Se si arrendono quando tu sei a 2-300 metri da loro, non pensare alle mani alzate. Mira tra la terza e la quarta costola e poi spara. Si fottano. Nessun prigioniero».
La Settima Armata americana puntò a sbarcare settantamila uomini con 250 mezzi corazzati lungo un fronte di 58 chilometri lungo la costa della Sicilia Orientale. Lo sbarco vero e proprio ebbe inizio alle 2 del mattino del 10 luglio del 1943. Nella zona di Gela gli italiani schieravano una prima linea formata da quattro battaglioni dei reggimenti costieri. Più indietro una compagnia di bersaglieri, una di mitraglieri e una autotrasportata con una dozzina di carri armati leggeri semoventi. Indietro la divisione Livorno e la divisione tedesca Goering. Gli americani sbarcarono sulla sabbia di Gela alle 2.45, i ranger corsero all’assalto. I carabinieri presero posizione nell’ex hotel Trinacria…

Lo scontro divampò anche vicino alla diga, nelle vie del paese. Morirono anche dei civili. Alla foce del fiume Dirillo caddero tutti gli uomini di un plotone costiero. In questa prima notte dello sbarco e nella sola zona di Licata persero la vita 173 americani, 123 italiani e 40 tedeschi. Alla mattina irruppero i piccoli carri armati italiani, fanti armati di moschetti e mitragliatrici. I carri erano del modello Renault 35 e Fiat 3000, niente a che vedere con Tigre o Sherman.

Ma incredibilmente travolsero gli avamposti americani insieme ai bersaglieri. Iniziò il bombardamento costiero delle navi americane, ma i piccoli carri non si fermarono e scavalcarono anche l’ultima linea di difesa lungo la ferrovia. Primo a passare fu il tenente Navari, il suo carro però si fermò nelle vie del paese, il pilota scese, riuscì a farlo ripartire usando la manovella, ma venne colpito a morte. Angelo Navari si affacciò dalla torretta, vide il suo pilota esanime. Chiuse il portello e ripartì alla carica verso il centro di Gela. Degli altri piccoli carri armati non c’era più traccia, Navari continuò la sua corsa, arrivò fino alla chiesa, a 300 metri dalle spiagge: aveva tagliato a metà la testa di sbarco americana.

Il carro venne colpito a un cingolo, Navari uscì dalla torretta, fu circondato dagli americani che fecero fuoco e lo uccisero. L’epopea di Navari diventò argomento dei cantastorie siciliani, al pari di Orlando e dei suoi paladini.
La battaglia continuava, scese in campo la divisione Livorno; la Hermann Goering comparve nel pomeriggio e travolse le posizioni americane avanzate. Il tramonto colse i due schieramenti in una posizione di equilibrio. Ben diversamente le cose erano andate in altra zona per l’ottava Armata del generale Montgomery, che invece aveva conquistato Siracusa e la piazza di Augusta. Ma qui a Scoglitti, Gela e Licata il generale Guzzoni, comandante delle forze italiane, non aveva nessuna intenzione di abbandonare il campo: aveva messo in difficoltà gli Alleati e si rendeva conto di avere delle possibilità di successo.

Scrisse l’autore: «Ma, come Guzzoni aveva previsto fin dal primo rapporto inviato a Roma, ora c’è il rischio che, nel momento decisivo, non si riesca a respingere in mare l’invasione proprio per la mancanza di adeguate riserve mobili». La notte fra il 10 e l’11 la Livorno e la Goering prepararono lo schieramento per il nuovo attacco contro le forze Usa fra Gela e Scoglitti. L’offensiva partì di prima mattina, si lanciarono all’attacco anche gli aerei tedeschi e italiani che cercarono di disturbare la flotta in modo che alleggerisse i bombardamenti sulla costa. Alle 6.30 partì l’attacco della Livorno. Il terzo battaglione della divisione arrivò tra le prime case del paese, a due chilometri dalla spiaggia. Alle 11 le principali linee americane cedevano in più punti. La Goering era a mille e cinquecento metri dal mare. Scrive Augello: «Gli italiani intercettano un messaggio radio di Patton che ordina il reimbarco. Questo episodio verrà in seguito negato con forza dagli americani, ma il generale Faldella, Capo di Stato Maggiore del generale Guzzoni, lo riferisce citando un documento di cui rimane menzione nel Diario della Sesta Armata italiana».
Ma il reimbarco non avvenne. Patton si affidò alla potenza di fuoco della flotta, migliaia di colpi micidiali. La battaglia di Gela si sbloccò a favore degli Alleati attorno a mezzogiorno quando al diluvio di colpi provenienti dalle navi si aggiunse l’arrivo di una colonna di carri Sherman provenienti da Licata. Ma i combattimenti continuarono per tutto il giorno e la notte seguente. «Gli ultimi a resistere, fino alle 7.30 del 12 luglio, sono gli artiglieri della compagnia cannoni del Gruppo mobile E. Esaurite le munizioni dei pezzi di artiglieria si difendono con bombe a mano e fucili… L’alba del 12 luglio illumina un campo di battaglia che non dovrebbe essere dimenticato: 2.000 soldati e 214 ufficiali italiani giacciono senza vita, mescolati e confusi ai loro avversari americani che, tra morti, feriti e dispersi, sommano 2.300 vittime. Infine i tedeschi hanno perduto 600 soldati e 30 ufficiali. Dal giorno dello sbarco sono deceduti circa 3.300 italiani e 800 tedeschi». Non si è mai conosciuto l’esatto numero di morti americani, ma si può affermare che durante l’intera battaglia di Gela morirono fra tutti almeno settemila uomini.
Al termine del libro, Andrea Augello si domanda come sia nata la leggenda di una Sicilia abbandonata agli Alleati quasi senza combattere e fa riferimento a un «pregiudizio razziale» angloamericano che sottovalutava gli italiani a vantaggio dei tedeschi. E scrive: «Nel prosieguo della campagna subentrò un più sottile disegno politico. Il territorio occupato doveva essere amministrato, limitando al minimo ogni problema: in questa chiave la comunità italo-americana, in prima fila i picciotti di Brooklyn, fu considerata una risorsa… Ma in realtà i cosiddetti uomini d’onore furono abili soprattutto nel dilatare i loro meriti agli occhi dei servizi segreti americani, ai quali non fornirono nessun insostituibile supporto dal punto di vista militare e/o dell’intelligence».

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